mercoledì, settembre 12, 2007

Italia, la grande giungla FM

Penalizzata la Rai e soffocate le locali

I canali pubblici faticano a farsi sentire
In pochi anni scomparse duemila emittenti


Una giungla inestricabile. Dove ci si può fare strada solo con la forza del denaro. È la radiofonia italiana. Basta accendere l'autoradio per capirlo. Stazioni radio affastellate che cambiano nel giro di pochi chilometri. Interferenze, disturbi, segnali deboli. Un male che colpisce 38 milioni di ascoltatori, a cui nessuno vuol mettere rimedio. A farne spesso le spese è persino la Rai. Lo ha ricordato di recente proprio Antonio Capranica, direttore del Giornale radio Rai. A differenza della Gran Bretagna, per fare un esempio, alla radio pubblica non sono state
riservate fasce di frequenza. Risultato: ascolto difficoltoso per uno o più canali in tante zone. Molti ascoltatori di Radiotre protestarono a lungo quando la Rai lo spense sulle onde medie: in Fm non riuscivano ad ascoltarlo. Come Isoradio in molti tratti autostradali.

All'origine del caos sta la Mammì. Legge del 1990 che, in attesa di una regolamentazione delle Fm mai arrivata, ha congelato la situazione. Venne fatto un censimento degli impianti trasmittenti e fu bloccata l'accensione di nuovi. In teoria. Perché 17 anni fa diverse emittenti dichiararono più impianti di quelli posseduti, confidando che nessuno avrebbe mai controllato se tutte le frequenze fossero accese. Però erano legalmente rivendibili. Così, involontariamente, la
legge, congelando l'esistente ha ostacolato la nascita di nuove radio e fatto impennare il costo delle frequenze già in uso: per accendere nuovi impianti, aprire una nuova radio commerciale o allargare il raggio di ascolto non resta che comprare i trasmettitori, ovvero le frequenze. A Milano ormai costano milioni di euro.

Nessuna nuova radio può nascere se non dispone di capitali ingenti. In pochi anni le voci più piccole sono state divorate a suon di soldi dai network. Erano 3mila, oggi ne restano 1150, comprese le regionali. Impensabile che un ente non profit possa aprire la sua piccola radio in una grande città: non ci sono frequenze libere. Eppure di canali "vuoti" ce ne sarebbero, se il ministero avesse regolamentato l'etere. Lo dimostrano le radio nazionali comunitarie, come Radio Padania. Che ha sfruttato una leggina ad hoc che consente di accendere nuovi impianti, se non si causano interferenze. Ha fatto discutere parecchio in Sardegna
l'accensione di una decina di frequenze della radio della Lega, poi però cedute, in modo legale ma aggirando la Mammì, passati 90 giorni a emittenti commerciali (tra cui Radiolina, Radio Monte Carlo e Radio Cuore 2), facendo cassa. Ma non sono previste porzioni dello spettro Fm, tra 88 e 108 MHz, per le emittenti comunitarie, da quella di quartiere a quella parrocchiale.

Nel Regno Unito la legge prevede licenze speciali per piccole radio, a cui possono accedere, come squadre di calcio, ospedali, università. In Spagna convivono 2mila radio municipali tra 106 e 108 MHz. Negli Stati Uniti le radio locali sono il nerbo della radiofonia nazionale. In quasi tutti i Paesi occidentali, poi, esiste un elenco pubblico delle radio, con area di copertura e potenza del trasmettitore autorizzate. E in ogni bacino di utenza le frequenze sono assegnate in modo che ci non ci siano interferenze tra loro e di solito un'emittente può disporre di una sola
frequenza.

L'Italia invece trasmette su un altro pianeta. Nelle grandi città più di un network occupa tre frequenze, togliendo spazio ad altre voci. E provate a cercare un elenco ufficiale, attendibile, delle emittenti italiane e dei loro trasmettitori. Impossibile. Inutile chiedere al ministero delle Telecomunicazioni o ai Corerat: solo l'Emilia, la Toscana e l'Umbria mettono a disposizione i dati. In Francia o in Usa si trova tutto sul Web, in maniera pubblica e trasparante.

In Italia l'unico elenco complessivo utile, in gran parte attendibile, è quello realizzato da alcuni appassionati riuniti nel gruppo Fmdx_Italy che in sinergia con i tedeschi dell'Fmlist hanno messo on line un database delle emittenti italiane. Sono stati contati oltre 14mila impianti, in gran parte posseduti da 20 network nazionali. Ma il numero è per difetto e incerto, visto che anche le comunità montane possono
dare l'autorizzazione ad accendere piccoli impianti. C'è un network che, in Centro Italia, sta accendendo impianti a decine. «Ma è una realtà confusa in continuo movimento - spiega il giornalista Fabrizio Carnevalini, curatore del database -. Senza regole e senza controlli».

Con un grande spreco di energia elettrica, perché nella giungla le radio usano trasmettitori sempre più potenti: una gestione razionale delle frequenze potrebbe far risparmiare almeno il 30%. Una gara a chi urla di più. Per tentare la scalata ad Audiradio e ai contratti pubblicitari.

Giampiero Bernardini, Avvenire, 25 agosto 2007

------

Bardelli del Corallo:
«Aiutiamo le piccole realtà, sono la vera voce del Paese»


«Lo strapotere dei grandi network radiofonici? È verissimo. Ma le emittenti del circuito Aeranti-Corallo stanno dimostrando, come le loro colleghe, tutto il valore culturale, strategico e democratico delle radio locali». Lo sostiene deciso Luigi Bardelli, presidente del circuito Corallo, di orientamento cattolico, che insieme all'Aeranti riunisce 668 radio locali italiane, più della metà delle 1150 realtà sparse sul territorio. «Occorre salvaguardare questo miracolo italiano che in 30 anni ha visto nascere in maniera spontanea centinaia di emittenti locali - prosegue Bardelli -. È una originalità tutta nostra in un momento in cui si sta tornando alla riscoperta delle radici. Questo è il passo per la vera multiculturalità».

Purtroppo, però il numero delle radio «indipendenti» italiane si è dimezzato. «È un patrimonio che si va erodendo - aggiunge il presidente -: occorre difenderlo perché è un baluardo contro l'appiattimento della globalizzazione. Noi di Aeranti-Corallo abbiamo, invece, trovato una formula vincente in cui l'unione fa la forza. In particolare, è innovativo e utile l'apporto di Radio Inblu, che fornisce a ben 200 radio di ispirazione cattolica una serie di trasmissioni che ne potenziano i contenuti nazionali e ne evitano il provincialismo». E se in Italia i grandi network radiofonici dettano legge «con un linguaggio omologato», la forza della radio locale «resta quella di raccontare il territorio, di far parlare la gente reale, che
ha relazioni vere». Troppo spesso, infatti, le radio nazionali propongono modelli «inventati». «Si guardi il caso della famiglia - spiega -. Se si ascoltano le radio locali certi stili di vita non sono accettati come normali, perché la gente in periferia è ancora seria. Il Paese reale è tutto un altro».

Come si può ovviare? «Con l'avvento digitale tutto sta cambiando - conclude Bardelli -. Il business andrà avanti, ma sono fiducioso che si troverà una soluzione. Stiamo organizzando incontri e convegni con l'Authority per le Comunicazioni, con il Ministro delle Comunicazioni e con dei tecnici. Ragioneremo come contribuire al dibattito nazionale e contrastare le direttive europee che limitano il numero delle frequenze, difendendo la specificità dell'esperienza italiana».

Angela Calvini, Avvenire, 25 agosto 2007

-------

I numeri

Un mercato che vale 585 milioni di euro Secondo Audiradio, nelprimo semestre del 2007, oltre 38 milioni 505 milaitaliani hanno ascoltato ogni giorno la radio. Un’attenzione che,standoalla rilevazione, cresce di anno in anno.Per quanto riguarda la classifica delle emittenti più ascoltate:al primo posto si conferma Radiouno con 6.616.000 ascoltatori nel giorno medio,seguita da Radio DeeJay con 5.604.000 ascoltatori, mentre al terzo posto mantiene la posizione Radiodue con 5.270.000, che precede Rtl (5.141.000) e Rds (5.043.000).

Altro discorso il fatturato degli investimenti pubblicitari sulla radio dove nel 2006 si sono registrati segnali molto positivi: rispetto al 2005 c’è stata una crescita del 5%,pari ad un investimento di 585 milioni di euro da suddividere tra le nazionali (395 milioni di euro e +6,5%) e le locali (190 milioni di euro e il +2%). Bene,infine,le commerciali nazionali (+8%),efficaci soprattutto sul target più cercato dai pubblicitari, quello tra i 25 e i 44 anni. (Avvenire 25 agosto 2007)